Madonna col Bambino, anche detta Madonna della seggiola

Madonna col Bambino, anche detta Madonna della seggiola

Madonna col Bambino, olio su tela (97×73,5 cm), XVIII secolo (ante 1715) – palazzo vescovile

La Madonna col bambino è un dipinto (olio su tela) significativo e di qualità raffinata databile, su base stilistica, entro il primo quindicennio del Settecento, contrassegnato da un disegno fermo e circoscritto e da un morbido e delicato impasto cromatico smussato da un chiaroscuro sensibile e tenero. Il quadro è nato nell’ambito della scuola di Marco Benefial, il grande pittore romano contraddistinto da acuto gusto narrativo e singolare vivacità espressiva, un maestro che andò ben oltre i limiti del pur corretto accademismo marattesco, all’epoca ancora dominante nell’ambiente romano e non solo romano.

La mano che ha eseguito la Madonna col Bambino, però, non è quella del Benefial ma una mano a lui affine e sembra quindi logico riferire il quadro a Filippo Germisoni (Roma 1664-Roma 1743), un pittore che per un paio d’anni fu associato col Benefial, tra il 1711 e il 1713, e durante tale periodo dipinse uno dei suoi lavori più interessanti, la pala d’altare per la chiesa di S. Nicola dei Cesarini in Roma (detta anche S. Nicola alle Calcare), raffigurante la Visione di S. Nicola che, dopo la distruzione della chiesa, si trova oggi nel Convento di S. Alberto in Roma e la si può vedere pubblicata nel secondo volume dell’edizione moderna del trattato settecentesco di Filippo Titi, Studio di pittura, scoltura e architettura nelle chiese di Roma, edizione comparata a cura di Bruno Contardi e Serena Romano,  Atlante, fig. n. 634, p. 171. Dal confronto con questa notevole pala d’altare si può confermare l’attribuzione del dipinto di Acquapendente al Germisoni, soprannominato il Moletta, essendo sua madre sorella del pittore Pier Francesco Mola.

La stessa forza espressiva, la stessa arguzia e insieme delicatezza di pensiero che si notano così evidenti nella Madonna col Bambino e nella pala del S. Nicola, sono riscontrabili nelle poche altre opere oggi note del Germisoni, il quale oltre che pittore fu collezionista e esperto di alto livello, anche se va ricordato come siano scomparsi quasi tutti i suoi lavori citati nelle fonti, in specie nella biografia del maestro inclusa nel libro, scritto proprio all’epoca, di Nicola Pio, Le vite dè pittori, scultori, architetti, manoscritto modernamente edito da C. Enggass e R. Enggass, Città del Vaticano 1977. In questa biografia si apprende che Germisoni, tra le altre cose, fu uno specialista della pittura dei “sughi d’erba” di cui quasi nulla sopravvive se non due magnifici sughi d’erba con storie di Giuseppe dipinti per la Confraternita dell’Orazione e Morte di Frascati e ancora oggi visibili presso la Chiesa della confraternita, Santa Maria in Vivario a Frascati, due capolavori eseguiti anch’essi con ogni probabilità nel secondo decennio del Settecento (pubblicati da A. Tantillo, in L’arte per i papi e per i principi nella campagna romana-grande pittura del Seicento e del Settecento, Vol. II, Roma 1990 pp. 148-149) che confermano il riferimento della Madonna col Bambino al Germisoni.

Restauro

Sfuggito alla catalogazione della Soprintendenza effettuata nel 1993, il dipinto nello stesso anno è entrato a far parte delle collezioni museali. Restaurato in occasione di questa esposizione da Linda Bernini del Laboratorio per il territorio della Regione Lazio, presentava delle criticità conservative, ma aveva un supporto discretamente so- lido, a parte un leggero allentamento della tela e qualche deformazione. Erano presenti cadute della pellicola pittorica specie nella parte bassa, ma il danno maggiore consiste- va in un taglio che attraversava diagonalmente il viso del Bambino, senza, per fortuna, interessare i suoi occhi. La crettatura in alcuni punti era pronunciata, preludendo al sollevamento della pellicola che difatti è stata consolidata. Alcune “macchie” sulla mano (e all’altezza del collo) della Madonna hanno richiesto l’uso di tecniche diagno- stiche non invasive, come la foto agli infrarossi, per essere meglio indagate. Difatti, grazie a queste indagini è stato possibile capire come l’opera fosse stata già abbon- dantemente ridipinta nel secolo scorso. Tolta la tela di rifodero ed eliminate le molte- plici reintegrazioni anche alterate da una patina ingiallita e da depositi di sporco con l’ausilio del solvente Metilpirrolidone, il manufatto è stato rifoderato per migliorare l’adesione al tessuto originale, di insufficiente robustezza, dunque sono state stuccate e reintegrate a tono tutte le lacune secondo la tecnica mimetica. Il dipinto è stato infine protetto con strati di verniciatura intermedi e finali.

CLAUDIO STRINATI – PAOLA SANNUCCI