Supplizio di San Biagio

Supplizio di San Biagio

Bottega di Pietro Sorri (attribuito), Supplizio di San Biagio, prima metà del XVII sec., olio su tela, 130 x 95 cm. Provenienza: Convento di San Francesco

Eseguito su una tela a spina di pesce molto diffusa in area veneta e con le dimensioni della cosiddetta tela imperatore (130 x 100) tipico formato del Seicento romano, raffigura in maniera estesa uno dei supplizi ai quali San Biagio fu sottoposto per indurlo a rinnegare la sua fede: fu straziato con una spazzola per cardare la lana, strumento entrato a far parte dell’iconografia codificata del santo, pur essendo l’episodio qui illustrato solo uno dei supplizi a cui il vescovo e medico fu sottoposto prima della decapitazione che lo condusse alla morte.

La vita di San Biagio è narrata nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine e poi più tardi nel 1637 nella Narratione della Vita e Martirio di San Biagio di Camillo Tutini, il vescovo visse ai tempi delle persecuzioni dell’imperatore Diocleziano nella città armena di Sebaste e fu decapitato nel 316. Il pittore sembra rimandare al passato pagano inserendo su un alto basamento una statua antica. Sul fondo appena accennata da veloci pennellate forse si scorge la scena della cattura del vescovo per mano di due soldati a cui assistono alcune figure dalla loggia soprastante. I soldati, gli anziani e le donne con bambini raffigurati in primo piano sembrano voler descrivere l’accorrere della popolazione di Sebaste alla notizia della consegna del vescovo. Il santo raffigurato di spalle e spogliato degli abiti religiosi, la mitra vescovile è stata già gettata a terra e il pastorale viene spezzato mentre i due carnefici già brandiscono le spazzole. L’atroce supplizio è in atto come documentano gli schizzi di sangue scuri sulla schiena e davanti al santo, un dettaglio cruento che si ritrova con precisione nel dipinto che fu preso evidentemente a modello per il nostro, la tela di medesimo soggetto che intorno al 1617 il pittore Giovanni da San Giovanni aveva dipinto a Montepulciano.

La tela per i contrasti luminosi che la caratterizzano esprime grande tensione: il supplizio si compie di notte e l’unica fonte di luce giunge dagli angeli apparsi in cielo che si mostrano spaventati da quanto sta avvenendo in basso, uno di loro già si appresta a scendere recando in mano la palma del martirio. Tale impostazione in verticale, unita all’ambientazione notturna e la stretta relazione tra bagliori luminosi e architetture, trae ispirazione da illustri precedenti soprattutto in area veneta, si pensi al Ritrovamento del corpo di San Marco di Tintoretto (Venezia, Galleria dell’Accademia, 1548) o al Martirio di San Lorenzo di Tiziano (Venezia, Chiesa dei Gesuiti, 1557-1558), da quest’ultimo celebre dipinto il nostro artista sembra ricordarsi per l’ara con la statua antica che come già evidenziato da Panofsky proprio per il dipinto di Tiziano è metafora del passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Come noto proprio il dipinto di Tiziano era stato preso a modello per una delle tele di Santa Maria Novella dipinta da Girolamo Macchietti, primo maestro del Passignano.

Nulla sappiamo dell’autore di questa tela, l’artista mostra di essere aggiornato sula pittura veneta e di essere vicino alla pittura toscana del 600 e in particolare agli artisti-scenografi attivi a Firenze per le imprese teatrali dei Medici.

Il dipinto è stato restaurato nel 2001 da Mariano Marziali.

Bibliografia
Luisa Caporossi Da “I dipinti del Museo della città di Acquapendente”, a cura di Andrea Alessi e Luisa Caporossi, Antiquares 2021, pp. 58-59-60