
15 Dic Madonna del Divino Amore
Madonna del Divino Amore, olio su tela, 134×104 cm, 1595-1610 circa (da Raffaello Sanzio, olio su tavola, 140×109. Napoli, Museo di Capodimonte) – pinacoteca di san francesco
Anticamente collocata presso i locali del limitrofo convento francescano appartenuto ai frati Minori Conventuali di Acquapendente, l’opera – “Sant’Anna e la famiglia” – viene ricordata in un catalogo redatto nel 1849 e conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, con l’indicazione dell’autografia a Raffaello Sanzio “si crede di Raffaello” (Archivio di Stato di Roma, Camerlangato, parte II, Antichità e Belle Arti, titolo IV, fasc. 3634).
L’opera venne schedata nel 1993 da Marina Ciai sotto la direzione di Egidia Coda della Soprintendenza per i Beni storico-artistici di Roma e del Lazio. La studiosa, dopo aver individuato il legame diretto con il prototipo di Raffaello, noto come Madonna del Divino Amore e conservato a Napoli, nel Museo di Capodimonte, pensò che si trattasse di una copia realizzata da un pittore ignoto, coevo al Sanzio. Di tale ipotesi, tuttavia, non deve essere stata del tutto convinta neanche Egidia Coda, se è vero che quasi vent’anni dopo (2010), in occasione dell’apertura al pubblico della neonata pinacoteca di San Francesco ad Acquapendente, neppure la ricorda tra le opere pregevoli della collezione (La raccolta di dipinti del convento di San Francesco in Acquapendente ed il suo prossimo allestimento museale, in “Nel Lazio. Guida al Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico”, 2010, pp. 115-119).
L’indagine attuale, frutto della collaborazione dello scrivente con Claudio Strinati (storico dell’arte ed ex soprintendente del Polo museale romano), ha rivelato trattarsi in realtà di un falso, dipinto dal pittore marchigiano Terenzio Terenzi, anche noto come Rondolino Pesarese, attivo tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento. Le dimensioni della tela infatti, quasi sovrapponibili all’originale di Napoli, così come l’uso di alcune tinte spente (ocra, verde e celeste), che sfumano in una lieve penombra, rimandano certamente alla produzione di questo pittore, il quale, stando alle fonti antiche, sceglieva supporti usati e logori e applicava una miscela di vernici e colori che poi anneriva col fumo per conferire un’aura di invecchiamento.
Per Claudio Strinati, “data la possibilità di istituire confronti con certe sue cose sicure che sembrano avere un andamento della mano e un timbro cromatico che potrebbe attagliarsi soprattutto alla copia del Divino Amore, non possiamo escludere che l’autore di esse sia proprio Terenzio Terenzi da Urbino, il celebre falsario di Raffaello attivo tra fine Cinquecento e primi Seicento”.
E’ interessante notare che sino al 2011 si pensava che l’autore del prototipo napoletano fosse Giovan Francesco Penni, non Raffaello, a causa di un disegno preparatorio firmato e conservato nello stesso museo. Tale ipotesi è stata smentita grazie ad indagini riflettografiche a raggi infrarossi promosse dalla stessa soprintendente (Mochi Onori).
Restauro
L’opera, rinvenuta nei locali del convento, è stata restaurata nel 2010 da Mariano Marziali in occasione dell’apertura della Pinacoteca di San Francesco.